Non ho parole.....poi..come dico sempre..quando le cose ti colpiscono piu' da vicino...le senti ancora di piu'.....e in questo caso.....il fatto e' avvenuto proprio nell'ospedale dove io sono in visita.
Ragazzi.......estremamente toccante come hanno reagito i pazienti dopo che sono statti informati dell'accaduto
Firenze, i pazienti rinati
"Non riusciamo a odiare i medici"
Operati a un passo dalla morte
Il più giovane, quello ricoverato a Pisa, quando gliel’hanno detto che per un errore incredibile rischiava di diventare sieropositivo, «guarda una cosa pazzesca, non ci sembra vero, non sappiamo», è rimasto un po’ in silenzio. Ha sussurrato: «Io mi sento molto meglio, però». Gli hanno spiegato che non è sicuro, che adesso con le nuove cure si può campare, che loro lo seguiranno sempre. Lui ha sorriso: «Giurate che non lo direte a papà e mamma. Loro ci creperebbero». Adesso, chissà come faranno a non saperlo. Il fatto è che questa storia è tutta capovolta. C’è una guardia armata nel reparto del Careggi dove sono ricoverati gli altri due. In fondo è giusto: ci sono delle volte che i giornalisti sono come la peste. Ma se chiedi a Mauro Marabini come l’ha presa il biologo, persino lui, che è il direttore sanitario, fa una faccia contrita, come se parlasse di una vittima, non dell’uomo che ha commesso questo sbaglio incredibile: «E’ distrutto». Il silenzio che lascia dopo è quasi fisico, spezzato da una parola che farfuglia, «male», e che ripete, sempre più piano, con dolente ossessione. Poi vorrebbe raccontare qualcosa, accenna a una notte che non finiva più, dice: «Abbiamo dovuto stargli molto vicino». E i pazienti? «Non sembra vero, ma l’hanno presa molto meglio».
C’è qualcosa in questa storia che lascia increduli e spaventati. C’è il posto dove è avvenuta, così lontano dai luoghi consacrati della malasanità, e ci sono le vittime e il colpevole, e la speranza e la disperazione, che per un assurdo gioco del destino sembrano quasi aver invertito i ruoli e i protagonisti. «I pazienti si sentono meglio di prima, hanno trovato grande forza e coraggio», dice Marabini. Il dolore è un mistero che dà strane risposte. E loro, per ora, non vogliono neanche presentare querela, dice. Chiedono come funzionano gli organi, che cosa devono fare, quali terapie seguire, come se la vita l’avessero scoperta solo adesso, e la vita quando la scopri ti sembra infinita sempre, anche se è a rischio.
I trapianti erano stati fatti 5 giorni fa: un fegato e i reni. L’altro ieri i tecnici dell’Archivio Biologico di Pisa si sono accorti che la donatrice era sieropositiva. E hanno informato Careggi. «E’ stato il biologo a dirci subito che credeva d’essere lui il responsabile», racconta Marabini. «Noi non lo sapevamo, dovevamo ancora capire». Sono andati all’origine, a cercare le analisi della macchina, «una macchina modernissima ed efficiente, comprata appena sei mesi fa», come spiega il direttore generale di Careggi, Edoardo Maino. Ebbene, la macchina lo diceva che la donatrice era sieropositiva al viurs Hiv. Neanche lei lo sapeva. Il biologo («un uomo esperto, un dirigente») ha confessato che quei dati li aveva trascritti proprio lui. Scrivendo «negativo». Allora, racconta Marabini, sono andati ad avvisare i pazienti. Il rischio è molto elevato, e solo fra un anno potranno sapere se sono diventati sieropositivi o no. «Però, due di loro erano in dialisi da tempi infiniti e gli sembra di rinascere. L’altro, quello del fegato, aveva una prognosi gravissima, addirittura prospettive di morte quasi immediata». E i familiari? Hanno ricevuto una notizia sicuramente drammatica, dice Marabini: «Da un trapianto ci si aspetta una nuova vita e in questo caso si sono trovati di fronte a un avvenimento tragico, anche se non immediato. Ma i loro parenti sono già stati trattati, e le cure non sono incompatibili con il trapianto. Se dovessero verificarsi le ipotesi peggiori, poi, oggi le prospettive di vita sono abbastanza lunghe».
Raccontano tutto questo dentro a una bella sala con i pavimenti di marmo. Qui non siamo al Policlinico di Roma o in uno di quei luoghi un po’ tetri e finti consacrati alla malasanità, qui non ci sono topi e non c’è abbandono, non si spegne la luce all’improvviso. Questo è l’ospedale di Careggi. Ci sono i pini che si alzano dietro le mura, e un silenzio di pace, non di angoscia. La malasanità questa volta ha colpito un ospedale di eccellenza e una regione che proprio nei trapianti è all’avanguardia in Italia. Come spiega Franco Filipponi, direttore dell’Organizzazione dei Trapianti in Toscana, qui c’è il numero più elevato di donatori e l’attesa più breve, e sarà anche per merito dell’efficienza sanitaria: «Per un fegato si aspetta dai 4 ai 6 mesi, mentre nel resto d’Italia ci vogliono 2 anni e 8 mesi. Per i reni, 21 mesi contro 3 anni e due mesi». Come se tutto questo potesse consolarci. O farci dimenticare il ragazzo di Pisa che chiede di non dirlo ai suoi.
Mi colpisce una frase......mi fa molto riflettere.....forse io non ho ancora ben capito cosa significa essere a rischio.....per questo a volte anche con alcune persone trapiantate reagisco in un certo modo....forse fino ad ora...fortunatamente...ho vissuto.
"La vita quando la scopri ti sembra infinita sempre...anche se e' a rischio"