Re: Cross Linking: a pagamento o in convenzione?
A mio parere è proprio così... l'intervento ha una difficoltà di esecuzione tutto sommato banale, e sono certo che anche nel sud Italia esistono strutture dove operano professionisti qualificati,( che tra l'altro vantano la stessa preparazione ed esperienza nel campo del CCL dei loro colleghi del nord, visto che solo pochi ,in tutto lo stivale, hanno eseguito un numero di interventi sufficiente a potersi autoproclamare più esperti degli altri).
Sono fermamente convinto inoltre, che sia necessario battersi per spezzare questa spirale perversa che si è innescata,e che in qualche modo, allontana opportunisticamente il paziente dal servizio pubblico, spingendolo con argomentazioni spesso addirittura distorte a frequentare solo ed esclusivamente l'ambulatorio privato.
Comunque la scelta è solamente tua...
Come direbbe A. Einstein non pretendere che le cose cambino se le fai sempre allo stesso modo....
A riprova di quanto ho scritto a difesa dei forse troppo maltrattati specialisti del sud, vi posto questo articolo:
Emilia è una bella bimba paffuta di tre anni...NAPOLI. Vivace, curiosa e comunicativa come tutti i bambini della sua età. Ma il suo rapporto con la realtà - con i colori, la luce e i chiaroscuri del mondo - è guidato e mediato dalla voce degli altri: perché Emilia è affetta da amaurosi congenita di Leber, rara malattia genetica che colpisce la retina provocando progressivamente cecità o un grave danneggiamento della vista sin dalla prima infanzia. Una sindrome che, in genere, si manifesta nei primi 6 mesi di vita ed è la causa più frequente di cecità infantile ereditaria, con un’incidenza di 3 casi ogni centomila nati vivi. Ma anche una menomazione - causata da un difetto del gene RPE65, che rigenera la molecola indispensabile al funzionamento delle cellule della retina, il retinolo - che, oltre all’accentuata ipovisione fino alla cecità, si può manifestare anche con il movimento continuo degli occhi (nistagmo). Una buona notizia fa ora tornare a sperare: una terapia genica sperimentale ha consentito di recuperare in parte la vista a 12 ragazzi (cinque dei quali italiani), con una buona ripresa per tutti, effetti tossici per nessuno e con ottimi risultati, in particolare, per cinque (4 di età tra gli 8 e gli 11 anni, uno di 17), che hanno riacquistato la facoltà di vedere sino ad essere autonomi, giocare liberamente con i compagni e studiare senza docente di sostegno. Tutti i 12 casi sono stati trattati negli Stati Uniti, a partire dal 2007, dal gruppo coordinato da Jean Bennett, compresi i 5 italiani nei quali la malattia era stata diagnosticata nel dipartimento di Oftalmologia della seconda università di Napoli, sotto la supervisione di Francesca Simonelli, originaria di Nola e dal ’91 responsabile del Centro di retinopatie ereditarie presso la clinica oculistica della Sun. Tra i «beneficati», giovani pazienti come Tommaso e Josalinda, due fratelli gemelli siciliani, o i l 18enne Alessandro, sottoposti al primo trial di terapia genica con un intervento sperimentale che ha donato loro la gioia di riveder la luce. Ma la seconda buona notizia è che dietro questo piccolo grande miracolo della ricerca scientifica c’è un gruppo di lavoro tutto partenopeo, composto da ricercatori del Tigem, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli (tra i quali Alberto Auricchio, Enrico Maria Surace e Sandro Banfi), che in collaborazione con il Dipartimento di Oftalmologia della Sun e l’ospedale pediatrico di Philadelphia hanno portato a termine con successo lo studio clinico internazionale i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista «The Lancet». Perché anche se non si tratta della prima sperimentazione della terapia genica per curare questa malattia, la novità, stavolta, è che i bambini hanno mostrato i migliori risultati clinici rispetto agli adulti. A dimostrazione, secondo Simonelli, che «più la terapia genica è intrapresa precocemente, più alte sono le probabilità che la retina dei pazienti non sia del tutto compromessa e reagisca bene alla cura». Ma in che consiste questa innovativa cura targata Napoli? La terapia genica è stata condotta sulla base della «strategia molecolare» messa a punto dal gruppo del Tigem con Alberto Auricchio, Enrico Maria Surace e Sandro Banfi. La copia sana del gene RPE65 è stata introdotta in un virus reso innocuo e utilizzato come navetta. Così «impacchettato» nel virus, il gene è stato iniettato nell’occhio. «L’occhio - spiega il genetista napoletano Auricchio - è un organo ideale per questo tipo di terapia, in quanto piccolo, circoscritto e immunoprivilegiato: il che rende possibile la somministrazione di basse dosi di farmaco e riduce di molto il rischio di rigetto da parte del sistema immunitario». E i risultati sono così positivi, continua A uricchio, che si pensa già a sperimentare la stessa terapia «anche per altre malattie genetiche oculari come la malattia di Stargardt, per la quale il Tigem ha già ottenuto la designazione di farmaco orfano dalla Food and Drug Administration americana e dalla European Medicines Agency