Associazioni di pazienti preda degli sponsor?
Al momento non è un problema concreto.. ma mi interessava conoscere il vostro parere.
Le associazioni dei pazienti sono diventate, negli ultimi anni, un interlocutore importante sia con le istituzioni che con la comunità, e spesso sono state determinanti nelle scelte di politica sanitaria. Nate in molti casi in seguito ad una spinta emotiva molte associazioni, nel tempo e con l’impegno attivo dei pazienti, si trasformano in gruppi strutturati e organizzati che fanno valere la loro posizione. Per questo motivo sono oggetto di attenzione da parte non solo dei governi ma anche di strutture private, dalle fondazioni alle industrie, che spesso ne sostengono le iniziative partecipando con i loro capitali.
Questo tipo di rapporto tra associazioni e privati ripropone un tarlo dei nostri tempi: esiste un conflitto di interesse anche per i gruppi di pazienti che accettano finanziamenti privati? Le battaglie che essi combattono possono considerarsi sempre indipendenti anche se sostenute da strutture private? In sostanza le associazioni dei pazienti devono accettare degli sponsor? Si affronta l'argomento in un confronto sul British Medical Journal che vede coinvolti la canadese Barbara Mintzes, rappresentante del Therapeutics Initiative and Health Action International, e l’inglese Alastair Kent, direttore del Genetic Interest Group.
A sostenere il fronte del
"no" Barbara Mintzes. In una breve indagine fatta sul web la Mintzes ha visitato 69 associazioni di pazienti in Canada, il 54 per cento delle quali dichiarava sui propri siti di ricevere fondi da industrie farmaceutiche; il dato non è dissimile in altre regioni del mondo. Secondo la ricercatrice canadese i pazienti che si associano e attivamente lottano per i loro diritti, quando si verificano queste sponsorizzazioni sono esposti a tre rischi: di essere usati dalle aziende, in quanto canale neutro, per ottenere comunque visibilità a scopo promozionale; di rischiare di confondere i piani tra quelli che sono gli interessi dei pazienti e quelli dei finanziatori; di essere deboli e di non poter far valere i propri diritti in caso di dissenso con gli sponsor.
Del resto, continua la Mintzes, se un’azienda di telefonia mobile arruolasse un certo numero di consumatori fornendo loro il cellulare e la possibilità di usare dei servizi a costo zero o con agevolazioni e poi questi stessi consumatori dovessero affermare di essere rimasti contenti del servizio, buona parte della gente sentirebbe odore di fregatura.
Per quale motivo questo non dovrebbe valere anche su questioni che riguardano la salute, chiede provocatoriamente la ricercatrice.
Alastair Kent, al contrario, sostiene che il conflitto di interesse è, in questo come in altri casi, inevitabile; la differenza sta nel saperlo gestire in maniera limpida. Del resto se le associazioni di pazienti accettano finanziamenti privati rischiano di essere tacciate come non indipendenti, se invece non accettano quei soldi non riescono a svolgere il ruolo che si sono ricavato e cioè quello di essere un interlocutore da interpellare nelle scelte che riguardano il malato oltre a quello di supportare, anche economicamente, gli stessi pazienti e le loro famiglie.
Non c’è vergogna né disonore, secondo Kent, nell’accettare sponsor, basta usare la ragionevolezza: già da molto tempo le associazioni di pazienti hanno rifiutato, per esempio, di farsi sponsorizzare dalle industrie del tabacco o altri tipi di finanziamenti che hanno considerato non etici.
Fonte: Should patient groups accept money from drug companies? BMJ 2007;334:934-5.