Cornee, una catena di errori
30 giugno 2008
Graziano Cetara
I suoi occhi sarebbero dovuti restare così come si erano chiusi per sempre alla vita. «Nessuno li deve toccare», era stata la sentenza della moglie in lacrime di fronte a chi le chiedeva il consenso all’espianto delle cornee del marito, appena spirato.
Giovanni Franzoni, 66 anni
Il bisturi di un medico ha violato il diritto di una donna a decidere sul destino dei tessuti e degli organi del coniuge a cui aveva appena detto addio. Ha ignorato il rifiuto pronunciato, scritto e firmato sul certificato di morte. E ha proseguito, portando a termine un intervento che nessuno avrebbe in quel momento potuto eseguire.
«Non era mai accaduto in Italia», ammette Andrea Gianelli Castiglione, coordinatore per la Liguria del servizio prelievi e trapianti. È successo giovedì nel dipartimento universitario di medicina legale dell’ospedale San Martino, quando il medico responsabile in quel momento era il dottor Francesco Ventura. «È stato un errore nella lettura della cartella clinica», è stata la conclusione dei primi accertamenti del coordinatore del centro. «Un fatto grave, molto grave - sottolinea Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti - Esiste una dettagliata procedura con più livelli di sicurezza e controllo che non è stata rispettata. Chiederemo alle autorità sanitarie liguri di fare piena chiarezza per stabilire le responsabilità».
I funerali dell’uomo, Giovanni Franzoni, 66 anni, sono stati celebrati ieri mattina a Torriglia, il paese della Valtrebbia di cui era originario. Franzoni, che abitava con la moglie nel quartiere genovese di Molassana, in Valbisagno, è morto dopo mesi di sofferenze, vinto da un tumore al polmone che, sospetta la famiglia, aveva origini lontane negli anni, nel lavoro in fabbrica all’Italsider di Cornigliano dove l’operaio aveva trascorso trent’anni prima di andare in pensione. «Una persona straordinaria che ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia», ricorda la moglie, stordita dal dolore e dall’indignazione: «Quello che è successo è vergognoso. Vorremmo giustizia se potessimo permetterci un avvocato. Si sono sbagliati, ci hanno anche chiesto scusa. Ma il dolore che ci hanno provocato è grandissimo».
All’origine dell’errore «c’è la compilazione sbagliata del certificato di morte», spiega Andrea Gianelli Castiglione. La procedura stabilita dalla legge prevede che sul retro del referto venga compilato il consenso informato all’intervento di prelievo delle cornee, la parte dell’occhio deputata a permettere il passaggio della luce verso le strutture interne dell’apparato visivo. Solo per questo tipo di intervento è prevista la richiesta esplicita dell’assenso. Altrimenti la legge più recente, riguardante gli altri organi, ammette l’interpretazione del silenzio in senso affermativo.
In caso di opposizione all’espianto il rifiuto viene scritto a penna sulla facciata del documento di morte. Così è andata. Una variazione sulla linea stabilita dalla legge è sopraggiunta nella trasmissione delle carte dal reparto, dove il paziente era ricoverato, e all’istituto di medicina legale. «Tre ore dopo la consegna del foglio con il rifiuto, è stato spedita in istituto la seconda facciata del certificato compilata e firmata. Vicino alla parola prestampata “acconsento” c’era scritto “non” a penna, molto piccolo. Chi ha ricevuto quella carta evidentemente ha scambiato un’opposizione per un’autorizzazione e ha proceduto all’espianto». In quel momento nel dipartimento c’erano solo una specializzanda in medicina legale, un oculista, incaricato del prelievo delle cornee, e un tecnico. Sono state queste persone a eseguire l’intervento, senza evidentemente aver letto con attenzione il certificato di morte. La procedura prevede che sulla salma sia eseguito un elettrocardiogramma per escludere una eventuale attività cardiaca (e scongiurare il caso remoto ma possibile della morte apparente); sia effettuata una visita esterna per escludere la presenza di segnali evidenti di tossicodipendenza; siano accertate le cause esatte della morte e siano prelevati campioni di sangue per individuare eventuali sieropositività ai virus dell’Hiv e dell’epatite. Solo al termine della procedura può intervenire l’oculista. È stata rispettata integralmente e scrupolosamente in questo caso la procedura stabilita dalla legge? Anche su questo è in corso una prima indagine da parte del coordinatore regionale del Centro trapianti. Il dato certo, aggiunge Costa, è che è stato il coordinatore regionale ai trapianti, dopo che l’istituto si è accorto dell’errore, a informare «nella più assoluta trasparenza» la famiglia dell’uomo e «segnalando il caso alla direzione sanitaria del San Martino, alla Banca degli occhi e al Centro nazionale trapianti».
La beffa finale, in questa storia drammatica e inedita nella storia sanitaria italiana, sta nel referto che è arrivato a medicina legale quando l’errore era ormai compiuto da ventiquattr’ore. Le analisi sui campioni di sangue di Giovanni Franzoni hanno rilevato che l’uomo era positivo al test dell’epatite. Non era assolutamente idoneo alla donazione di alcun organo o tessuto. Anche volendo.
Partendo da questa spaventosa notizia........mi piacerebbe conoscere il vostro parere sulla donazione degli organi....
un saluto
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ma non mi piace la leggerezza con cui vengano letti certi fogli molto importanti come il consenso all'espianto 
sono sbagli enormi che NON andrebbero fatti tanto piu' che la persona in questione era affetta da epatite 
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