Pa36
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Iscritto il: martedì 25 gennaio 2005, 17:04 Messaggi: 2164
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per quel che riguarda i pareri contrari ecco qualcosina: l'idea di eseguire dei tagli refrattivi nel cheratocono non è nuova, ma lascia perplessi il concetto di incidere una cornea "patologica" e sperare che la risposta sia la stessa che potrebbe dare una cornea normale, così come è difficile trovare un razionale che giustifichi la rimozione di una certa quota di tessuto con il laser ad eccimeri in cornee che hanno già la tendenza spontanea ad avere una riduzione di spessore e a sfiancarsi. Il dottor Kenneth Kenyon di Boston, uno dei maggiori esperti mondiali nel campo della cornea, ha espresso la sua idea a riguardo nel numero di giugno ‘99 della rivista Ocular Surgery News: "Sono turbato all’idea di proporre delle incisioni o una ablazione con laser ad eccimeri su queste cornee notoriamente imprevedibili ed instabili. Nonostante i risultati riportati (in riferimento all’articolo "Keratoconus treated with RK and laser ablation" di R. Van Horenbeeck nell stesso numero della rivista) siano incoraggianti, sia in termini di recupero visivo che refrattivo, non c’è sufficiente follow-up per garantire la stabilità (nonostante l’Autore ammetta di esserne sicuro). …l’approccio innovativo del Dr. Van Horenbeeck deve essere giudicato con estrema prudenza".
Vorrei inoltre aggiungere che questo tipo di chirurgia può complicare un’eventuale cheratoplastica perforante che si rendesse necessaria in seguito e questo deve essere tenuto in considerazione prima di proporre questo tipo di chirurgia a persone giovani nelle quali il cheratocono può ancora evolvere.
I segmenti intrastromali (INTACS)
Un segmento di materiale plastico inserito nello stroma della cornea paracentrale determina un appiattimento della zona ottica centrale ed è stato proposto per il trattamento della miopia. Recentemente è stato anche proposto di inserire questi segmenti nella cornea affetta da cheratocono, allo scopo di centrare l’apice del cono e di appiattirlo, per migliorare il recupero visivo senza le lenti a contatto. Abbiamo chiesto al Prof. Fronterrè di parlarci della sua esperienza.
Prof. Fronterrè: Nel cheratocono non evoluto che non tollera la lente a contatto consiglio l’impianto di segmenti intrastromali quando lo spessore corneale è superiore ai 500 m m, non vi è alcuna alterazione anatomica (strie e opacità) e con un visus con occhiale inferiore ai 5/10. In tutte le altre situazioni consiglio direttamente una cheratoplastica perforante che nelle mie mani dà maggiori garanzie di recupero visivo della cheratoplastica lamellare. Sino ad ora ho eseguito 80 interventi di questo tipo e il follow up supera i due anni per i primi casi fatti.
Cosa spiega ai suoi pazienti quando presenta le caratteristiche di questo tipo di intervento?
Spiego loro che si tratta di un intervento di chirurgia extraoculare, reversibile e mirato a migliorare la vista con l’occhiale. Li informo, inoltre, che il recupero è rapido, ma non prevedibile e che non è ancora possibile sapere se l’impianto di questi segmenti può in qualche modo influenzare l’evoluzione del cheratocono. In ogni caso, se si rendesse necessario eseguire in un secondo tempo una cheratoplastica perforante o nel caso il risultato non fosse soddisfacente, è possibile rimuovere facilmente i segmenti con un ritorno alla condizione di partenza.
La cheratoplastica lamellare profonda
Nel cheratocono la cornea è sfiancata, ma l’endotelio è generalmente sano e con un alta densità cellulare. Da questa osservazione è partita l’idea di rimuovere la maggior parte di tessuto stromale, se possibile sino alla Descemet, risparmiando l’endotelio ed evitando così, non solo il rischio di rigetto, ma anche la riduzione della densità endoteliale che si osserva nei lembi di cheratoplastica perforante a distanza di anni. La tecnica è interamente manuale e per aiutarsi nell’approfondimento verso la Descemet è stato proposto di utilizzare della soluzione salina, dell’aria o della sostanza viscoeleastica per creare un piano di clivaggio nello stroma. È stato anche proposto di iniettare una bolla d’aria in camera anteriore per facilitare la visualizzazione della profondità durante lo slamellamento dello stroma, ma fino ad ora nessuno di questi espedienti ha consentito di semplificare veramente la tecnica che richiede una buona esperienza, manualità e parecchio tempo per imparare ad eseguirla correttamente. Il Prof. Trimarchi si dedica da alcuni anni a questa tecnica: a lui abbiamo chiesto un parere e i suoi risultati.
Prof. Trimarchi: di fronte ad un paziente con cheratocono non evoluto che non tollera la lente a contatto, per prima cosa mi accerto del recupero visivo con occhiali. Se questo non è sufficiente, consiglio allora l’intervento di cheratoplastica lamellare profonda.
Ho iniziato questa tecnica circa tre anni fa e sino ad oggi ho eseguito più di 170 interventi di questo tipo per diverse patologie. Sono molto soddisfatto dei risultati: il recupero visivo è rapido e di media il visus raggiunge i 7/10 (7.28±1.95) con un astigmatismo basso (2.67 ±1.62). La densità endoteliale rimane molto alta (2234 ± 223), mentre, al contrario, a distanza di anni nella cheratoplastica perforante i miei casi hanno una densità endoteliale media di 979 ± 144.
La cheratoplastica lamellare automatizzata con microcheratomo
Per ovviare alle difficoltà tecniche della cheratoplastica manuale, per renderla più veloce, ripetibile, ma soprattutto per migliorare la superficie di taglio e quindi il recupero visivo, è stato proposto di utilizzare il microcheratomo, sia per la preparazione del letto ricevente che del lembo donatore. La tecnica è sicuramente più facile e più veloce di quella manuale, però rimangono i dubbi sulla possibilità di frenare l’evoluzione del cheratocono e sulla quantità e qualità del recupero visivo.
Abbiamo chiesto al Dott. Genisi, che è stato uno dei pionieri di questa tecnica, di parlarci della sua tecnica di lamellare meccanizzata nel cheratocono.
Dott. Genisi: Se sono sicuro di una intolleranza alla lac rigida o semirigida, faccio un tentativo con una morbida torica associata alla correzione dell’astigmatismo residuo su montatura; se il visus non risulta soddisfacente propongo una soluzione chirurgica. Quale soluzione chirurgica? Se la curvatura corneale massima (topografica) non supera le 50 D, lo spessore corneale minimo è di almeno 400 µm e la Descemet endotelio sono indenni, propongo una cheratoplastica a spessori differenziati meccanizzata (Microcheratomo Moria), asportando una lamella corneale di 250-300 µm al paziente ed innestando una lamella corneale di 350-400 µm fornitami dalla Fondazione Banca degli Occhi del Veneto. Oltre questi parametri propongo una PK.
Quali sono i risultati visivi e i tempi di recupero?
I risultati della K. lamellare a spessori differenziati, tecnica con circa 7 anni di follow-up, possono essere considerati molto buoni, tenendo conto che ci sono ancora margini di miglioramento. Il visus medio corretto postoperatorio a distanza di un anno dall’intervento è superiore ai 7/10; l’astigmatismo medio è di 2.5 D circa. I tempi di recupero sono molto variabili, accanto a pazienti che dopo 60 giorni hanno già un visus ottimo, vi sono pazienti che recuperano un buon visus solamente dopo 1 anno, nonostante un’apparente perfetta trasparenza corneale; penso che in tali casi il problema sia da attribuire all’interfaccia stromale.
Ho notato che nelle cheratoplastiche lamellari l’astigmatismo elevato è più penalizzante rispetto alla PK: pazienti operati di LK con astigmatismo di 5 diottrie difficilmente superano i 6/10 corretti; per contro nelle mie mani l’astigmatismo medio nella PK è superiore a quello della LK. Ho praticato interventi Lasik su pazienti sottoposti ad LK, perché avevano una ametropia sferica o cilindrica importante: i risultati sono ottimi e la presenza di una ulteriore interfaccia a 160 micron di profondità è stata ininfluente sul risultato anatomico e funzionale. La Fondazione Banca degli Occhi del Veneto sta comunque esaminando alcuni casi di questo tipo con microscopia confocale.
La cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri
Con l’avvento del laser ad eccimeri si è pensato di sostituire il microcheratomo con il laser per preparare sia il letto ricevente che, volendo, anche il lembo donatore. Il Dott. Paolo Bonci, che da anni si dedica a questa tecnica, ci riporta di seguito la sua esperienza e i suoi risultati.
Dott. Bonci: Sino ad ora ho eseguito circa 180 cheratoplastiche lamellari con la tecnica della preparazione del letto ricevente con laser ad eccimeri, mentre innesto un lembo lamellare preparato con il microcheratomo, fornitomi dalla Fondazione Banca degli Occhi del Veneto. Recentemente ho modificato la tecnica utilizzando delle maschere rotonde od ellittiche a seconda della sede dell’apice del cono.
Consiglio questo tecnica nel cheratocono non evolutivo con una differenza di spessore fra la misurazione minima e massima che non sia superiore ai 200 µm. Il tempo di recupero è molto variabile e può andare dai 5 mesi a più di un anno. Il recupero visivo medio è di circa 6/10 con un range dai 6 ai 9/10.
Quanto profondi si può andare con l’ablazione e qual è l’effetto della fotoablazione sulle cellule endoteliali?
Lasciamo sempre non meno di 150 µm di stroma e non abbiamo osservato alcuna alterazione endoteliale, anche se la comparazione sulla densità prima e dopo l’intervento è inficiata dalla distorsione determinata dal cheratocono prima dell’intervento.
Recentemente ho eseguito anche 35 casi di cheratoplastica lamellare profonda e rispetto alla tecnica con laser ad eccimeri ho osservato un recupero visivo più rapido, mentre è ancora presto per parlare dei miei risultati visivi finali. L’intervento è sicuramente più impegnativo e si sono verificate microperforazioni nel 75% dei casi senza, però, che questo abbia modificato il programma operatorio, mentre in due casi sono stato costretto a convertire in cheratoplastica perforante.
Conclusioni
Questa panoramica dimostra che ci sono ancora pareri e comportamenti diversi nel trattare un cheratocono non evoluto che non tollera la lente a contatto. Un parere unanime mi sembra comunque quello di non intervenire chirurgicamente su un cheratono che tollera bene la lente a contatto. Una seconda considerazione è quella che questi interventi alternativi alla cheratoplastica perforante hanno un tempo e una qualità di recupero visivo variabile e non prevedibile e di questo il paziente deve esserne informato.
La diffusione di queste nuove tecniche dimostra il grande interesse per questo settore ed è probabile che assisteremo ad un susseguirsi di nuove proposte e ad un consolidarsi dei risultati, che ancora oggi devono essere considerati preliminari.
Paolo Rama e Stanislav Matu¨ka
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pareri avversi ecco qualcosina:
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marco abbondanza
Utente anziano
Iscritto il: venerdì 28 gennaio 2005, 14:18 Messaggi: 173 Località: italia
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Salve.
Rispondo volentieri.
Il fatto che abbia presntato solamente le mappe a distanza di svariati anni dall'operazione ha due motivi.
Il primoè che se una cornea, a distanza di anni, è corretta dal punto di vista della regolarità e della correzione ottica, vuole dire che essa era correta anche subito dopo l'intervento. Non è possibile che una cornea sia regolare dopo anni e non lo fosse anche subito dopo l'intervento. Il secondo motivo è che fornire tutte le topografie post operatorie avrebbe significato dovere fornire svariate mappe per ogni occhio con conseguente " spazio " occupato e maggiore lentezza nell'apertura della pagina.
Comunque se desiderate avere tutte le topografie di ogni singolo occhio, non ho assolutamente niente in contrario. Sarò felice a richiesta di fornirvele.
Per quanto riguarda l'agente patogeno, non ho la possibilità di esprimere alcun parere in quanto non conosco i risultati del lavoro di ricerca eseguito dal dr. Lombardi. Non appena saprò qualcosa di certo, perchè fornito dal dr. Lombardi stesso, sarò felice di potere esprimere la mia opinione.
Saluti a tutti.
dr. Marco Abbondanza
_________________ dr. Marco Abbondanza
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