ALL'ULTIMO ISTANTE HO RIFIUTATO IL TRAPIANTO A MESTRE

lavocedelmare

Mi chiamo Antonio, 46 anni, ispettore della G.di F, separato, padre di una splendida sedicenne, vivo da solo in provincia di Bari. La prima diagnosi del mio cheratocono bilaterale risale al 1998, quando abitavo ancora a Roma. Tutti gli oculisti all’epoca contattati m indirizzarono presso il Centro di Mestre, per monitorare nel tempo la progressione di questa dannata patologia. Ogni anno, almeno una volta, mi recavo lì, dove ero in cura dalla meravigliosa dott.ssa Bohm, che già dirigeva il centro. Inizialmente ero al secondo stadio nel sx e primo nel destro. Per cui per molti anni ho tirato a campare con la LAC solo nell’occhio più malato. Fino ad arrivare a fine del 2008, quando non riuscivo più a tollerare la LAC ed ho iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di effettuare il primo trapianto. Nel 2009, a fine ottobre sono stato per l’ennesima volta a Mestre, dalla Bohm che mi ha fatto intendere che era giunta l’ora. Mi ha concesso, indicativamente, di decidere il periodo in cui preferivo fare il trapianto e ci siamo accordati per la primavera del 2010. Quest’anno, ad aprile, sono stato contattato dalla signora Lucia, colei che organizza le programmazioni dei trapianti su Mestre, la quale mi ha detto di faxarle una serie di documenti. Pur di rimandare ho perso del tempo prima di inviarle la documentazione richiesta, tanto da scatenare in lei una rabbiosa reazione. Ricevuta finalmente la documentazione la Lucia mi ha ricontattato e mi ha fissato il ricovero per sabato 15 maggio con intervento programmato per lunedì 17 maggio, chiedendomi di confermare la mia disponibilità per quelle date una settimana prima. Dopo giorni di ansia tremenda, esattamente una settimana prima, pensando di far bene, le ho mandato a mezzo fax la mia conferma a ricoverarmi per quella data. Il giorno successivo mi ha richiamato, aggredendomi verbalmente, perché si aspettava una conferma telefonica e non a mezzo fax. Ha anche aggiunto che non vedeva l’ora di conoscermi personalmente per capire che soggetto ero veramente, mi ha poi riconfermato la data, mi ha velocemente elencato i documenti che dovevo portare a seguito e poi senza salutare ha riagganciato. Ci sono rimasto malissimo, ma ho dovuto incassare per ovvia necessità. Nei giorni che hanno preceduto la mia partenza i dubbi mi hanno assalito, mi domandavo innanzitutto se facevo bene a scegliere per l’intervento un centro così lontano dal posto in cui vivo, se i disguidi incontrati con la signora Lucia potessero avere il loro peso una volta giunto a Mestre, mi terrorizzava l’idea dell’anestesia generale (obbligatoria in quel centro ma mai conosciuta da me) e soprattutto del dopo-trapianto da affrontare a casa più o meno da solo. La mia unica figlia era impegnata scolasticamente con il liceo e l’amico che mi aveva fatto compagnia in tante visite a Mestre, pochi giorni prima della mia partenza, si è reso indisponibile a causa di seri problemi di salute di un suo familiare. Si sono quindi offerte di accompagnarmi, ed io ho accettato, mia mad

re (79enne con seri problemi di deambulazione) e la mia compagna (38enne, separata da poco, con due figlie da lasciare da sole per alcuni giorni), due donne quindi con parecchie fragilità attuali.
Sabato 15 maggio 2010, giunto in perfetto orario al secondo piano, sezione E, del fantascientifico Ospedale dell’Angelo, ho dovuto aspettare più di un’ora prima che qualcuno si decidesse a ricoverarmi. Mi ha accolto un’infermiera, mi ha registrato, ha acquisto la documentazione che avevo portato con me, mi ha fatto compilare una scheda con i miei dati, mi ha prelevato del sangue e mi ha fatto un elettrocardiogramma. A causa di un loro disguido non erano presenti posti letto per me, pertanto mi hanno “provvisoriamente” sistemato in uno stanzone dedicato ai bambini dell’attiguo reparto di Otorino, dove ero da solo. Un’ora dopo all’incirca mi hanno portato al piano di sotto, presso gli ambulatori oculistici, mi hanno fatto la pachimetria, l’esame del fondo oculare, ma non mi hanno fatto le mappe corneali a causa di problemi tecnici che non ho capito bene. Poi sono stato visitato dall’unico medico presente di sabato in reparto, il Dottor BAREA, il quale mi ha spiegato poco e male il trapianto che avrei dovuto fare, limitandosi più che altro a far firmare tutta una serie di liberatorie. Alle 10,30 ero di nuovo in stanza nell’attesa di fare la visita anestesiologica. Fino al pomeriggio alle 18 non si è visto nessuno, ho provato a chiedere all’unica infermiera presente in reparto, ma con glaciale fermezza mi è stato riposto che evidentemente l’anestesista aveva altro di più importante da fare. Prima che il Dottor BAREA andasse via l’ho avvicinato e gli ho chiesto se potevo dormire fuori (così come accennato da qualche paziente che era stato autorizzato). Il BAREA, dopo aver verificato gli impegni dell’anestesista di turno, mi ha firmato il permesso, con l’obbligo di ripresentarmi la domenica nel primo pomeriggio. Con le mie accompagnatrici siamo andati a cena fuori e poi all’alloggio che avevamo presso il Centro Cardinal URBANI di Zelarino, che consiglio vivamente per l’ottimo trattamento economico, l’ospitalità, i servizi e soprattutto la vicinanza all’Ospedale. La notte ho fatto un incubo pazzesco, sognando nei dettagli l’intervento da subire, ho dormito poco e male. La mattina domenicale l’abbiamo investita in una passeggiata a Venezia, unitamente ad un amico pugliese che lavora da quelle parti, per poi pranzare insieme. Alle 15,00 ho fatto rientro in Reparto ma dell’anestetista neanche l’ombra. L’Ospedale dell’Angelo nel fine settimana è di una desolazione unica, oserei dire angosciante, in Reparto poi neanche la presenza di un dottore. Alle 20,15 finalmente arriva l’anestetista, una donna, devo ammettere molto brava, risponde con dovizia di particolari a tutte le domande che le faccio in ordine all’anestesia generale, poi scopre che nonostante io sia un fumatore incallito nessuno si era preoccupato in reparto di farmi fare un RX-torace. Pertanto alle ore 21.10 mi portano a “-2”, in Radiologia, e finalmente faccio anche l’RX. Ritornato su chiedo all’infermiera se sono a conoscenza dell’orario in cui sarò sottoposto all’intervento e del chirurgo che mi dovrà operare, ma non ottengo nessuna risposta, se non un secco “Domani si vedrà”. La tensione aumenta quando ritorno in stanza, da solo, accanto al mio letto provvisorio, dove nel frattempo hanno appoggiato il camice che dovrò indossare e i due braccialetti che dovrò mettere ai polsi. Non riesco a dormire, sono molto teso, poi al mattino presto portano accanto a me un ragazzo affetto dalla sindrome di Down, con gravi problemi respiratori e ripetuti conati di vomito, povero figlio sta male ed è disperato. La tensione aumenta e dentro non mi sento assolutamente pronto per affrontare il trapianto. Alle 7.45 chiamo l’infermiera e le comunico la mia decisione di non voler più fare l’intervento. Venti muniti dopo uno stuolo di dottori, con in capo la Professoressa BOHM, vengono a trovarmi in stanza per conoscere i motivi della mia decisione. Spiego il tutto nei dettagli, dai problemi con la Lucia ai due giorni di assoluta desolazione vissuti in Reparto, in sintesi ribadisco che “non mi sento pronto e soprattutto sereno per affrontare il trapianto”. La BOHM capisce perfettamente, ammette che non è la situazione ideale per fare il trapianto e sostiene che la mia esperienza le servirà per programmare in futuro i trapianti con il DAY-SURGERY, infine mi promette che non mi cancellerà dalla lista e che quando mi sentirò pronto dovrò chiamare direttamente lei, senza passare per il tramite della signora Lucia. La ringrazio, mi scuso enormemente per l’accaduto che ha comportato sicuramente disagi a tutta la macchina organizzatrice, e abbandono il reparto. La mia rinuncia scatena una reazione di profondo sconforto nelle donne che mi accompagnano, ma alla fine comprendono. Ora sono a casa che mi domando quando riuscirò finalmente ad affrontare il benedetto trapianto, se a Mestre ho perso il treno, se meglio rivolgermi a qualche centro qui su Bari, e dentro intanto mi sento tanto tanto vigliacco per ciò che ho combinato.

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